Abstract
In un contesto nazionale di debolezza cronica rispetto all'ambito delle politiche giovanili, nella fase attuale, da alcuni anni si registrano significativi risultati raggiunti da progetti locali ed iniziative pilota in diversi Comuni e città italiane. Sotto questo profilo si può considerare la Scuola di Cittadinanza Attiva, ragionato e valido esperimento della Regione Campania, connotato da una forte valenza territoriale e comunitaria.
Con il termine "comunità" si intende far riferimento alla centralità del bene comune e a condizioni che permettono l'agire sociale (individuale e collettivo) sostenuto da un forte sentimento di appartenenza e volto proprio alla ricerca del bene comune. Questa condivisa e fiduciosa appartenenza alla comunità ha alla base una forza, un legame che può contrastare le nuove inquietudini e solitudini del cittadino globalizzato. Riemerge allora forte un bisogno di comunità che con frequenza trova una prima forma di risposta personale e collettiva nel Terzo Settore, rispetto ad un desiderio e ad un progetto di interesse generale, ossia di "bene comune".
Un interesse generale e un bene comune che non sono originari e predefiniti una volta per tutte, ma frutto di una costruzione sempre in fieri, alla quale si perviene attraverso l'interazione dei membri della comunità, attraverso la loro attiva partecipazione con forme e modalità sempre nuove: basti pensare alla vitalità dell'associazionismo sia nazionale che locale e a strumenti di interazione/discussione quali i forum.
Va allora messo a fuoco il contesto legato al tema della partecipazione giovanile visto che proprio questa dimensione sembra oggi essere in crisi.
Questo è l'oggetto del percorso analitico della tesi: partendo dal caso della Scuola di Cittadinanza Attiva, si riflette per via induttiva sul contesto legislativo-culturale campano, il protagonismo giovanile, il possibile sviluppo futuro nella cittadinanza europea, lasciando sempre sullo sfondo la causa e l'effetto di questi processi, ovvero il capitale sociale. Inoltre, pare essenziale porsi il seguente interrogativo: considerando la correlazione tra capitale sociale e cittadinanza attiva, come si connota, in proiezione futura, la partecipazione (in particolare quella giovanile)? Tutti sono concordi nel ritenere che si partecipa meno, che non si insegna più a partecipare, tanto che si è coniugato il termine "partecipazione attiva". Così se anni fa, parlando di partecipazione, si sarebbero usati (quasi come sinonimi) altri tre vocaboli - appartenenza, militanza e rappresentanza - oggi il senso di queste parole va senz'altro ridefinito. Appartenenza oggi significa più una ricerca di luoghi di espressione di sé, che non invece l'indossare una "casacca" definitiva. Militanza: oggi è legata al cogliere opportunità, anche legate ai grandi movimenti ed alle grandi adunanze massmediatiche, che poi però producono poco sul territorio in termini di ricaduta di impegno concreto. Rappresentanza: non sono certo le tradizionali forme di rappresentanza ad avere oggi il favore dei giovani, a partire da sindacati e partiti. In particolare questi ultimi sono messi agli ultimi posti anche dagli Assessori alle politiche giovanili quando devono ricercare soggetti del territorio con cui co-progettare.
Vale la pena di intendersi meglio sul concetto di partecipazione. Infatti questo ha una doppia dimensione: quella del "prendere parte" e quella del "sentirsi parte", come se ci fosse un modo razionale legato al campo del diritto-fondamento, unito però ad uno più emotivo del "sentirsi dentro" a processi, alla comunità, a varie forme di appartenenze per la ricerca di un "bene comune". Questo "sentire comune" fonda e mantiene vivi i legami, le passioni, il piacere di incontrare le persone (che quindi non è solo un diritto/dovere) e forma quello che viene chiamato koinè, termine greco che significa appunto "senso di comunità condiviso". Il "sentirsi dentro" a questi processi di partecipazione giovanile passa per la costruzione di un "clima" buono, dove c'è anche una dimensione di svago e di piacere perché in questi contesti possono emergere potenzialità, idee e risorse di chi vi partecipa. Pensare a questi percorsi di partecipazione (ad esempio, al di là della sola Scuola di Cittadinanza Attiva o dei tradizionali strumenti d'incontro - forum, Informagiovani, etc.) come a catalizzatori necessari alla produzione di capitale sociale (livelli di fiducia) è certo un nuovo modo di intenderne la mission ed il ruolo, ma soprattutto rappresenta un obiettivo che le future amministrazioni non devono fallire.
Inoltre significherebbe avere in ogni Comune una "produzione" di piccoli (ma importanti) "beni pubblici". Si tratta quindi di prodotti che sono anche "beni relazionali", riconosciuti e riconoscibili dalla comunità, in grado di creare maggior coesione sociale in cui le soggettività coinvolte si riconoscono.
Infine, perché la partecipazione abbia un vero senso, è indispensabile che i giovani possano esercitare fin da ora un'influenza sulle decisioni, sui progetti e sulle attività che li riguardano, e non in ulteriori stadi della loro vita.
C'è dunque effettiva partecipazione quando si produce capitale sociale, si costruiscono reti, relazioni, processi di comunità, alleanze territoriali sul senso del fare alcune cose, di fronte a città sempre più frammentate, in cui si lavora "per e con" i giovani, ma favorendone anche un incontro con il mondo adulto, costruendo così koinè. Come? Attivando esperienze e percorsi che promuovano il protagonismo sociale dei giovani, contrastando il rischio che in futuro le città siano abitati da in-dividui, ovvero da soggetti che "non dividono" il loro spazio sociale con altri. Atomi sul territorio, tra loro slegati, senza un'idea di società in testa perché non l'hanno sperimentata da giovani. Come può allora la città diventare, da spazio fisico (da non-luogo), laboratorio sociale e culturale dove i giovani possono trovare stimoli e strumenti per inventare nuovi mondi possibili? Andando ad intercettare quella domanda di impegno e di voglia di sperimentare da parte dei giovani, dando loro opportunità per produrre e poi proporre ad altri giovani, per coinvolgerli, comunicando orizzontalmente tra loro, entrando rapidamente in connessione, muovendosi con rapidità. Lavorare con gruppi sociali di giovani in una città non è una scelta "povera", ma "potente". Ogni gruppo sociale infatti si attiva e diventa un organismo che conta e con la città deve fare i conti, produce, ha potere per produrre cambiamento. Infatti questi giovani possono intervenire nelle decisioni, influenzandole ed impegnandosi in attività ed iniziative che possano contribuire alla costruzione di una società migliore, dando così alla partecipazione un vero senso.
Lo start up di questi processi è instaurare una relazione con il mondo giovanile. È importante evidenziare che progetti come quello della Scuola di Cittadinanza Attiva riescono ad aggregare i giovani, indipendentemente dalle condizioni socio-economiche, cioè proprio quel segmento che potenzialmente rappresenta "il meglio" dal punto di vista della partecipazione attiva alla vita della città.
Continuando nel tentativo di definire quando c'è effettiva partecipazione, certamente quest'ultima è favorita da ogni azione che implica uscita dalla vita quotidiana: infatti frequentando mondi di significati diversi dalla quotidianità, è possibile riposizionarsi, trovare nuove interpretazioni di senso. Ecco che le Politiche Giovanili, la Scuola, la cittadinanza europea, possono diventare opportunità di partecipazione, nelle quali è possibile uscire e prendere delle distanze dalla vita quotidiana e realizzare poi una scoperta, un apprendimento. Una precondizione è che l'uscita dal quotidiano debba essere gestita bene e, perché lo sia, è molto importante l'elaborazione culturale: da questo punto di vista, pare condivisibile la scelta di una Scuola di Cittadinanza quale luogo di informazione, ma soprattutto formazione (nell'accezione più neutra del termine) delle future coscienze critiche.
Infine c'è partecipazione quando si arriva a chiedersi quali siano gli obiettivi dell'altro, perché realizzando l'altro si realizza se stessi. Così la comprensione dell'altro mette in discussione l'individualismo. E sono innumerevoli i micro-luoghi dove si incontra l'altro, a partire dal gruppo, ma anche nella comunità stessa. Alla politica la partecipazione pone nuove istanze, legate ad una attività tangibile e reale e ad un'azione concreta e poi da verificare sulla base dell'esperienza che si è originata.
In questi termini si può pensare ad un new deal dei giovani, cioè ad un investimento su di loro per lo sviluppo di un territorio, inventando meccanismi di co-progettazione (che sono dei processi relazionali/comunicativi) visto che i giovani spesso rifiutano il meccanismo della delega, pur ponendosi contemporaneamente un problema di rappresentanza. Per questo le Amministrazioni devono saper cogliere ed intercettare forme allargate di partecipazione giovanile alla vita della città, a partire dal volontariato, ma anche altre modalità quali l'associazionismo giovanile in senso stretto (le leve civiche) ed oggi, in particolare, le forme di espressione giovanile (il creare con le nuove tecnologie siti internet, il chattare, l'uso di sms ed mms, il prendere parte ed eventi o movimenti, l'essere coinvolti in progetti ed azioni locali, etc.).
È necessario dunque saper intercettare queste forme e far corrispondere strumenti ed interventi che sviluppino la partecipazione giovanile ed il rapporto con l'ente pubblico affinché si favorisca l'incontro tra giovani ed Istituzioni, primo passo per conoscersi e co-costruire insieme la cittadinanza attiva e conseguentemente aumentare le forme di amministrazione condivisa.
I nuovi tratti di un new deal della partecipazione giovanile vanno ricercati nel rapporto tra protagonismo (espressività) giovanile e politiche locali. Come? Bisogna riuscire a rompere il circolo vizioso delle politiche giovanili legato sia alla scarsità di risorse economiche che alla debolezza culturale e sociale degli interventi. Si tratta di una doppia "valenza debole" che ha influito anche sulla qualità delle proposte. Vi sono state nella maggioranza dei casi forme di contributo piuttosto che una proposta politica su ricerca e promozione di valori forti o temi attuali (ad es. cittadinanza europea), piuttosto che politiche dell'accesso a diritti. Quindi temi deboli e poche risorse: è stato questo il circolo vizioso delle politiche giovanili italiane. Ma non solo: oggi gli interventi per i giovani sono spesso deboli anche perché monotematici (si concentrano cioè su un solo obiettivo es. Informagiovani, Centri di Aggregazione, ecc.), mentre queste azioni devono diventare "plurime", con l'aiuto degli altri soggetti (es. associazionismo, Scuola, etc.). Le politiche giovanili di qualità sono quelle che permettono a tanti soggetti della comunità di mettere in atto interventi di "qualità condivisa" e che così sostengono la crescita dei giovani in un ambiente di qualità. If you don't networking, you don't working si usa dire. In tal senso la proiezione desiderata dei nuovi scenari non consiste più in interventi low cost per i giovani e in politiche per i giovani, ma dei giovani. Gli enti locali, allora, dovrebbero coraggiosamente scegliere un'opzione culturale forte, passando da un progetto giovani ad un progetto di comunità. Sotto questo profilo farà Scuola l'apertura alla cittadinanza europea. Io penso cittadino europeo non è solo il titolo del progetto di Scuola di Cittadinanza Attiva caso di studio di questo lavoro, ma appare soprattutto l'obiettivo formativo da perseguire nei prossimi anni: la consapevolezza democratica delle giovani generazioni e dunque la dimensione civica di domani non possono prescindere da un processo di integrazione europeo, precondizione indispensabile per lo sviluppo futuro della correlazione tra capitale sociale e cittadinanza attiva.