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Osservatorio Giovani OCPG

Identità, immigrazione, cittadinanza

 

L'indagine è stata promossa dall'Istituto ISFOL in collaborazione con il Ministero della Gioventù e condotta su oltre 9.000 giovani italiani e stranieri

 

Gli obiettivi

La ricerca intende indagare i processi di costruzione di identità che caratterizzano le giovani generazioni, con particolare attenzione ai fattori e alle variabili che li determinano. Il focus è incentrato sia sui fattori comuni ai giovani italiani e stranieri, sia su quelli che riguardano in modo specifico ed esclusivo la condizione del giovane straniero. L'indagine è, inoltre, volta ad individuare gli ostacoli che possono influire negativamente sul processo di integrazione ed identificare strumenti ed interventi necessari per la realizzazione di momenti di incontro, dialogo, confronto, condivisione tra giovani di nazionalità diverse.

 

Il disegno della ricerca

La ricerca, avviata nel giugno 2009, è durata due anni e si è articolata in due step principali. La prima fase ha previsto un'analisi dello scenario dell'immigrazione in Italia e della letteratura esistente sull'argomento. Gli spunti emersi in questo primo step sono stati utilizzati per l'individuazione delle principali dimensioni oggetto d'indagine. La seconda fase, quella della ricerca vera e propria, si è realizzata mediante l'utilizzo combinato di diverse tecniche di raccolta delle informazioni, sia quantitative che qualitative: somministrazione di questionari strutturati, conduzione di interviste semi strutturate e focus group. L'indagine ha previsto il coinvolgimento complessivo di 9.573 giovani di età compresa tra i 14 ed i 23 anni, provenienti da Istituti scolastici di secondo grado di 9 differenti regioni Italiane: Piemonte, Lombardia, Friuli, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sicilia.

 

 

Le seconde generazioni. Un'analisi dello scenario

L'espressione 'seconda generazione' viene utilizzata in sociologia come macrocategoria per indicare sia coloro che sono nati nel paese di accoglienza da entrambi i genitori stranieri, sia coloro che, nati all'estero da genitori stranieri, sono arrivati nel paese di accoglienza entro il periodo preadolescenziale.

La ricerca ISFOL articola la macrocategoria sulla base di una serie di variabili (nazione di nascita, cittadinanza dei genitori, tempo trascorso in Italia) e distingue tra:

-          studenti italiani: ragazzi nati in Italia da genitori italiani e ragazzi nati all'estero da genitori italiani e residenti da più di 10 anni in Italia;

-          studenti di seconde generazioni in senso stretto: studenti nati in Italia da entrambi genitori stranieri e ragazzi con genitori stranieri arrivati in Italia da più di 10 anni;

-          studenti stranieri: ragazzi nati all'estero da genitori stranieri e giunti in Italia da meno di 10 anni.

 

Negli ultimi anni, la questione delle seconde generazioni ha acquisito notevole importanza nel nostro paese, sia per l'aumento in termini demografici del numero di adolescenti provenienti da famiglie immigrate, sia per la necessità di definire interventi tendenti a favorire una più rapida inclusione di giovani immigrati all'interno della comunità nazionale. La scuola è il luogo in cui la crescente presenza degli stranieri diventa tangibile ed evidente, soprattutto in alcune aree del Centro e del Nord del paese (Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia e Veneto). A partire dai primi anni del nuovo millennio la presenza degli alunni stranieri nella scuola italiana è cresciuta in modo considerevole, aumentando di cinque volte tra l'anno scolastico 2000/2001 e l'anno scolastico 2009/2010. Le etnie più numerose nelle scuole italiane rispecchiano quelle maggiormente rappresentate nella popolazione straniera complessiva: Albania, Marocco, Romania, Cina.

 

Emigrazione, ricongiungimento: le principali criticità

All'interno della macrocategoria "seconda generazione", è necessario effettuare delle distinzioni. Accanto ai ragazzi nati direttamente in Italia che, pertanto, non hanno vissuto l'allontanamento e la separazione, vanno considerati i giovani stranieri arrivati nel nostro Paese da piccoli oppure in età adolescenziale, a seguito di ricongiungimenti familiari. I processi di ricongiungimento sono spesso accompagnati da varie criticità, in primis connesse all'allontanamento da amici, compagni di scuola, parenti, allo sradicamento da abitudini e luoghi vissuti per molti anni.

L'arrivo in un contesto nuovo caratterizzato dalla presenza di modelli sociali preesistenti con i quali confrontarsi ed interagire può determinare una serie di difficoltà. Sono poche le famiglie immigrate che arrivano nel nuovo paese già formate: si tratta per lo più di migranti altamente qualificati, manager, professionisti, imprenditori.

Più frequentemente, la migrazione si configura come un processo a più step, dove la famiglia emigrante deve affrontare la prova di una separazione, sperimentare un periodo di lontananza, di legami affettivi a distanza. Il ricongiungimento dà frequentemente origine a nuclei aggregativi diversi dalla famiglia di partenza.

Si assiste spesso al cosiddetto fenomeno dei "ricongiungimenti familiari rovesciati": in genere, a migrare per prima è la donna, mentre il marito arriva in una fase successiva, preceduto, accompagnato o seguito dai propri figli. Accade con grande frequenza che gli uomini, una volta raggiunto il nucleo familiare, sperimentino sentimenti di frustrazione per la perdita di ruolo, di autorevolezza e prestigio all'interno della famiglia. Altre problematiche sono legate al fatto che le madri sono costrette a lavorare fuori casa per parecchie ore al giorno o addirittura a tempo pieno, con la conseguenza che hanno poco tempo per dedicarsi alla propria famiglia. Questa situazione si ripercuote negativamente sul processo di integrazione ed inserimento dei giovani figli, per il buon esito del quale la presenza costante della figura materna sarebbe, invece, fondamentale.

La ricerca evidenzia, a questo proposito, una netta disparità tra i ragazzi stranieri arrivati in Italia in tenera età e quelli arrivati in età adolescenziale. I primi si rivelano molto più integrati nell'ambiente scolastico e mostrano un'ottima padronanza della lingua italiana; i secondi, al contrario, incontrano più frequentemente notevoli difficoltà linguistiche. In questo contesto, la scuola non sempre offre risposte idonee ad affrontare tali problematiche. Allo stesso modo, la famiglia non ha né tempo né dispone di strumenti idonei ed adeguati a favorire una più rapida ed efficace integrazione sia linguistica che culturale. La ricerca mette in evidenza addirittura una tendenza inversa: spesso sono proprio i ragazzi ad aiutare i genitori a migliorare la conoscenza della lingua e della cultura italiana.

 

Il ruolo della famiglia nel processo di costruzione dell'identità

L'indagine muove dalla consapevolezza che la condizione di adolescente, fase di per sé delicata e problematica, risulti ancora più faticosa quando ad essa si somma la condizione di giovane immigrato, soprattutto se proveniente da condizioni economiche e familiari difficili e precarie. Il concetto di emigrazione va inteso non soltanto come spostamento fisico da un paese ad un altro, ma come processo più complesso di ridefinizione di legami, appartenenze, identità, progetti di vita. In esso, le giovani generazioni si trovano a doversi confrontare con un duplice livello di aspettative: quelle della famiglia e quelle della società. All'interno del nucleo familiare, infatti, si mettono in atto complessi processi di negoziazione tra i valori della cultura e della tradizione di provenienza ed esigenze di ridefinizione che derivano dalle sollecitazioni provenienti dal nuovo contesto.

Ai ragazzi coinvolti nell'indagine viene chiesto quale lingua si parli nel proprio nucleo familiare. Dalle risposte emerge che solo il 13% dei ragazzi della seconda generazione ed il 7% di quelli stranieri intervistati parlano a casa esclusivamente in italiano. La maggior parte dei giovani, ovvero quasi il 74% della seconda generazione ed il 68% di ragazzi stranieri, parla con i propri genitori in entrambe le lingue. Il dato può essere considerato un indicatore del fatto che l'immigrazione non implica l'annullamento in toto delle proprie origini, ma costituisce una fonte di arricchimento sia culturale che linguistico (che nel lungo periodo porta alla coniazione di neologismi). D'altra parte, il fatto che il 19% degli studenti in famiglia non usi l'italiano, ma la lingua dei propri genitori, può indicare una forma di chiusura nell'ambito esclusivamente familiare, a discapito dei rapporti con il mondo esterno.

La ricerca rileva, inoltre, che la famiglia, sia di origine italiana che straniera, incoraggi piuttosto raramente la frequentazione di amici con origini diverse: solo il 34% delle famiglie del campione incoraggia spesso o molto spesso i propri figli a frequentare amici di diversa cultura; le percentuali relative alle famiglie immigrate sono superiori (40%) rispetto a quelle italiane (34%). Piuttosto marcate sono poi le differenze di genere: i ragazzi (72%) più che le ragazze (58%) dichiarano di non essere "mai o solo a volte" incoraggiati a frequentare amici di diversa cultura.

Anche le differenze territoriali sono considerevoli: al nord sono più alte le percentuali (75%) di coloro che sono "mai o a volte" incoraggiati a frequentare coetanei di diversa origine. Tale percentuale scende via via che ci si sposta verso il Sud (53%).

Ai giovani intervistati viene chiesto, inoltre, quale sia, a loro parere, l'opinione della famiglia di origine sui costumi occidentali e sui comportamenti degli italiani nei confronti degli stranieri. Rispetto al primo elemento, il 53% sembra esprimere un'opinione positiva. Per quanto riguarda il comportamento degli italiani nei confronti degli stranieri, esso viene considerato positivamente dal 69% e criticato dal 25%. In altre parole, la famiglia straniera tende generalmente a non esprimere una visione critica dell'Italia e degli italiani; tuttavia la percentuale del 25% di adulti che, secondo quanto riferito dai giovani, si lamentano spesso o molto spesso del comportamento degli italiani nei confronti degli stranieri costituisce un dato non trascurabile, in quanto mette in evidenza che esistono comunque problemi di convivenza tra giovani di nazionalità diversa.

 

Il ruolo della scuola

Il presupposto teorico dell'indagine è che, di fronte al sentimento di perdita e sradicamento che accompagna il processo di migrazione e produce nei giovani una crisi identitaria, gli stranieri sono indotti a crearsi un "luogo di transizione", uno spazio di mediazione fra il Paese d'origine e quello nuovo.

Questo spazio ha la funzione di facilitare l'integrazione dello straniero e contribuire alla formazione della sua identità. La scuola rappresenta lo spazio reale e simbolico in cui la soggettività dell'adolescente immigrato può essere riconosciuta ed accettata nella sua diversità. E' proprio a scuola, infatti, che il giovane immigrato può iniziare ad elaborare un progetto di vita, che integri la dimensione passata con quella futura. E' sempre a scuola che, mediante la frequentazione di amici/compagni di scuola italiani, lo straniero può avviare un percorso di socializzazione nel Paese ospitante.

Dall'indagine emerge che l'indirizzo scolastico scelto dagli adolescenti dipenda sia dalla cultura d'origine dei genitori che dalle condizioni economiche in cui versa la famiglia.

I cinesi, per esempio, tendono a portare i loro figli in Italia in età adolescenziale. Questi ragazzi hanno una scarsa o nulla conoscenza dell'italiano. Tuttavia, il loro inserimento scolastico non avviene sulla base di un progetto ponderato di crescita o integrazione: il criterio di scelta della scuola è più che altro di tipo logistico, ovvero viene selezionato l'istituto scolastico più vicino alla propria abitazione.

La dimensione della percezione della diversità è rivolta sia agli studenti italiani che a quelli  stranieri. A tal proposito, viene chiesto ai giovani del campione quale sia il grado di apertura e sensibilità degli insegnanti rispetto alle differenze fra le varie culture. Se i ragazzi italiani considerano i propri insegnanti molto attenti a questo tema (44,2%), i ragazzi immigrati di seconda generazione percepiscono l'apertura degli insegnanti principalmente tra "a volte" (35,5%) "spesso" (35,8%) e "molto spesso" (22,2%). Per la maggior parte degli alunni stranieri, infine, questa apertura si manifesta "a volte" per il 41,3% e "spesso" per il 35,6%.

 

Rispetto all'organizzazione di iniziative favorevoli al dialogo tra le varie etnie presenti a scuola, rispettivamente il 40,2% dei ragazzi italiani, il 38,8% dei ragazzi immigrati di seconda generazione ed il 32,1% dei ragazzi stranieri ritengono che esse non si verifichino mai; mentre il 42,9% dei ragazzi italiani, il 41,2% dei ragazzi immigrati di seconda generazione ed il 47,2% dei ragazzi stranieri dichiarano che iniziative del genere vengano realizzate 'a volte'.

Per quanto riguarda la percezione di episodi di intolleranza e discriminazione nei confronti degli studenti stranieri, la maggior parte degli alunni, sia italiani (55,1%), sia seconde generazioni (48,4%) sia stranieri (44,6%) nega di avervi assistito. Tuttavia, il 40,7% dei ragazzi stranieri ed il 37,4% dei giovani di seconda generazione dichiarano di avervi assistito "a volte". Gli episodi discriminatori vengono rilevati più frequentemente dagli uomini, che costituiscono il 73,7% di coloro che hanno risposto "molto spesso".

 

Prospettive per il futuro

Interrogati sui progetti per il proprio futuro, i giovani del campione esprimono, per la maggioranza, la volontà di continuare a studiare o di trovare un lavoro. In particolare, il 40,1% dei giovani italiani dichiara di voler continuare a studiare dopo la scuola superiore; tale percentuale si abbassa sia tra i ragazzi immigrati di seconda generazione (28,1%), che tra quelli stranieri (25,5%).

La volontà di cercare lavoro in Italia viene, invece, espressa dal 38,2% degli Italiani, dal 37,5% degli immigrati di seconda generazione e dal 35,3% degli stranieri.

L'indecisione sul proprio futuro costituisce un elemento tipico dell'età adolescenziale che trascende la diversa appartenenza etnica: sono, infatti, indecisi il 21,4% degli italiani; il 29,7% di immigrati di seconda generazione ed il 28,5% stranieri.

Tra i ragazzi stranieri, non mancano coloro che progettano di tornare nel Paese d'origine per continuare a studiare (il 6,3%) o per trovarsi un lavoro (4,4%), agevolati dal titolo di studio acquisito in Italia. Si tratta, in alcuni casi, di una forma di resistenza culturale dovuta al forte legame con il Paese d'origine, al desiderio di ritornare in patria una volta terminato il percorso di studi.

Rispetto alla preferenza nella frequentazione dei propri compagni di scuola, mentre i ragazzi stranieri e gli immigrati di seconda generazione considerano più simpatici i propri compagni italiani (rispettivamente il 61,2% ed il 74,2%), i ragazzi italiani (l'87,3%) considerano più simpatici i propri connazionali e solo il 10,3% preferisce i compagni stranieri. Da questo punto di vista, le donne si rivelano più empatiche ed aperte verso i compagni di classe stranieri. Il 56,5% di esse li considera più simpatici; tra i maschi, invece, prevalgono coloro (58,7%) che considerano più simpatici i propri connazionali.

 

Ostacoli e pregiudizi

Interrogati sulla presenza in Italia di pregiudizi nei confronti degli stranieri, la maggioranza del campione (71%) risponde in modo affermativo, dichiarando di averne avuto sentore spesso e/o molto spesso. Più nello specifico, la presenza di pregiudizi è percepita dal 71,5% degli italiani, dal 66% della seconda generazione e dal 56% degli stranieri. La percezione dei pregiudizi varia in modo notevole a seconda del genere (è più diffusa tra le donne che tra gli uomini), dell'età (è maggiormente diffusa tra i più grandi) e dell'area geografica (è più diffusa al centro e al nord Italia rispetto al sud). Dalle risposte fornire dagli intervistati si evince, tuttavia, una diffusa capacità critica dei giovani ed un buon livello di consapevolezza della situazione della società italiana rispetto ai problemi connessi all'immigrazione.

 

Gruppi e contesti di appartenenza

Alla domanda "a quale gruppo ti senti di appartenere?" gli intervistati rispondono scegliendo principalmente due categorie di risposta: famiglia ed amici, con percentuali diverse a seconda della nazionalità. I giovani che sentono di appartenere di meno alla propria famiglia di origine sono quelli di seconda generazione. Questi ultimi sembrano immedesimarsi poco con il gruppo di partenza e appaiono, piuttosto, proiettati verso una realtà diversa, a metà tra la propria origine ed il nuovo mondo in cui si trovano a vivere. I giovani che si sentono, invece, più appartenenti alla propria famiglia sono gli stranieri.

Se il 65% dei giovani intervistati si sente appartenente al gruppo di amici, tale percentuale scende di 10 punti in ognuno dei due gruppi diversi, giungendo al 45% negli stranieri. Questi ultimi esprimono con maggiore difficoltà il senso di appartenenza agli amici, evidenziando così un dato preoccupante, una tendenza alla sofferenza ed all'isolamento, alla quale è necessario rispondere con interventi volti alla promozione della socializzazione.

 

Luoghi di appartenenza

La ricerca mette in evidenza che la propria città costituisca una realtà di appartenenza importante per gli italiani (61,2%), più di quanto non lo sia per i giovani della seconda generazione (38%) e per gli stranieri (35%).

La Regione risulta poco importante per il campione in generale (12,9%), e comunque meno per gli stranieri (6,7%) e per le seconde generazioni (9,5%) rispetto agli italiani (13,4%).

Il senso di appartenenza all'Italia risulta in generale poco diffuso: gli italiani che si sentono di appartenere alla propria nazione sono il 50,7%; percentuale che scende al 35,4% tra le seconde generazioni e al 26,5% tra gli stranieri.

Molto basso risulta anche il senso di appartenenza all'Europa (6,8%) a livello globale. Tra gli stranieri (11,1%) il dato è addirittura doppio rispetto agli italiani (6,5%).

Più diffuso è, invece, il senso di appartenenza al mondo (23%). Anche in questo caso, la percentuale di soggetti che percepiscono il senso di appartenenza è maggiore tra stranieri (31,1%), rispetto alle seconde generazioni (30,9%) e, ancor più, rispetto agli italiani (22%).

 

 

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