Giovani, Meridionali, Donne
Il 23 ed il 24 giugno 2022 si è tenuto, presso l'Università degli Studi di Salerno, il convegno 'Giovani, meridionali, donne', iniziativa interdipartimentale tra il Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione e il Dipartimento di Studi Politici e Sociali in collaborazione con l'Osservatorio Giovani OCPG del Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione, con il patrocinio del Centro Studi Sociologia per la Persona (SPe), del Gruppo SPeG Ricerca sui Giovani e dell'Osservatorio Giovani Istituto Toniolo.
Il convegno, tenutosi nell'aula Pecoraro dell'ateneo salernitano, ha visto coinvolti attori accademici provenienti da diversi atenei nazionali e altri professionisti del settore della ricerca sociale nel fornire una lettura complessa di dati attuali e prospettive future sulle giovani generazioni, sulle differenze di genere e su quelle territoriali, con particolare attenzione all'area del Mezzogiorno.
A introdurre il convegno il Professor Virgilio D'antonio, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e della Comunicazione che ha portato i saluti istituzionali anche del Rettore Vincenzo Loia, seguito dai saluti del Professor Gennaro Iorio, Direttore del Dipartimento di Studi Politici e Sociali che insieme hanno permesso la realizzazione dell'iniziativa interdipartimentale.
E' poi intervenuta la Professoressa Stefania Leone, da sempre dedita agli studi sui giovani, con particolare attenzione a quelli meridionali, che ha concepito l'iniziativa cogliendo la necessità, più che mai attuale, di produrre e diffondere conoscenza sulle condizioni, le opportunità e le risorse che interessano i giovani, le donne e le aree del Sud Italia che, nella stessa prefazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono considerati i segmenti demografici e geografici sui quali gli effetti della pandemia hanno principalmente impattato.
L'iniziativa è stata anche un momento per presentare il Centro Studi di Sociologia della Persona, diretto dal Professor Paolo Zurla dell'Università degli Studi di Bologna, che rappresenta un punto di raccordo tra i vari ricercatori che, sebbene con declinazioni metodologiche e concettuali differenti, mettono al centro delle loro ricerche la persona.
L'apertura dei lavori del convegno è stata curata dalla Professoressa Rita Bichi dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché Portavoce del Gruppo di Sociologia della Persona, che dopo aver introdotto le tematiche cardine dell'iniziativa, ha fornito ai relatori e agli uditori uno spunto di riflessione interessante: le classificazioni, le categorie concettuali che fino ad oggi hanno scandito gli studi generazionali e territoriali sono ancora valide e ha ancora un senso avvalersene alla luce delle grandi trasformazioni attuali? Durante i due giorni di attività la questione è stata spesso discussa, talvolta risolta e altre rilanciata.
La prima sessione di lavori: Essere giovani al Sud. Condizioni di vita e differenze di genere, coordinata dal Prof, Gennaro Orio, è stata aperta con l'intervento della Dott.ssa Maria Clelia Romano, referente ISTAT che ha offerto una lettura dei dati forniti dalle statistiche nazionali ufficiali, riguardanti in particolare le condizione dei giovani e delle giovani donne. I dati sull'occupazione giovanile e sull'occupazione femminile pongono il Paese in ultima posizione rispetto al ranking degli altri Paesi europei. Dai dati sulle scelte formative, sui tipi di lavoro, sulla distribuzione dei carichi di lavoro familiare ed extrafamiliare, la Romano ha insistito sulla necessità di valorizzare il capitale umano, soprattutto in termini di formazione per poter promuovere e sostenere lo sviluppo delle giovani generazioni e delle donne, soprattutto di quelli del meridione.
Ha preso poi la parola la Professoressa Stefania Leone, che ha presentato, prima, uno spaccato sui giovani del Paese frutto della ricostruzione di un quadro sinottico delle ricerche longitudinali condotte da Ipsos e dall'Istituto Toniolo degli ultimi decenni, rimarcando le criticità evidenziate anche nel precedente intervento. Successivamente il focus è stato calibrato sui giovani e le donne delle aree interne del Paese, con particolare attenzione allo spazio geografico e alla dimensione della mobilità. quest'ultima è stata affrontata da una prospettiva temporale, guardando ai vissuti di mobilità e alla prospettive future che ha permesso, nell'ambito di una recente ricerca condotta a livello nazionale, di insistere su una dimensione sempre più interessante, in questo momento storico in cui sono necessarie trasformazioni sociali e sostenibili per il futuro di molte aree del meridione, che è quella della stanzialità per scelta da contrapporre analiticamente alle mobilità per necessità o per scelta.
L'ultimo intervento della prima sessione è stato quello di Fabio Massimo Lo Verde, che ha fornito un affondo sulle famiglie meridionali guardando in particolare alle condizioni, agli stili di vita ed ai consumi di quelle in cui sono presenti 'figli e figlie Neet'. L'Italia presenta la più alta percentuale di giovani Neet rispetto agli altri paesi europei, e da studi specifici è risultato che il profilo degli stessi giovani non inseriti in percorsi educativi, formativi e/o lavorativi varia in base all'appartenenza territoriale. Tra i Neet delle aree centro-settentrionali rientrano principalmente minori non accompagnati, immigrati e figli di immigrati, soggetti che risentono di una precaria inclusione sociale. Al Sud i giovani Neet sono invece giovani, che risentono di un background familiare caratterizzato da marginalità socio-economica. Lo Verde ha poi presentato un modello interpretativo che, tenendo conto dei consumi delle famiglie italiane, del titolo di studio e della condizione lavorativa dei genitori, ha mostrato che la presenza di figli e figlie Neet è maggiore quando all'interno del nucleo familiare è la madre a non lavorare. Ancora una volta è stata quindi posta l'attenzione sulla necessità di investire sulla formazione, occupazione ed empowerment femminile.
Hanno chiuso i lavori le riflessioni dei discussant, Luca Raffini dell'Università degli Studi di Genova, che oltre a condividere l'esigenza di intervenire sulla formazione dei giovani e delle donne ha colto dagli interventi la necessità di insistere sulla 'exit voice', la possibilità di scegliere di restare o partire e sul 'mobilismo' non solo spaziale come fattore di successo. Alessandro Martelli, dell'Università degli Studi di Bologna ha riflettuto sui giovani sottolineando la transitorietà di questa condizione che rende la categorizzazione ancora necessaria per poterne discutere. La questione per Martelli sta nella possibilità di poter concettualizzare dei tipi ideali per poter risolvere il problema dei giovani, e proprio quest'ultimo di chi é? Può essere relegato a politiche e misure trasversali come nel PNRR? Per poter comprendere il problema delle giovani generazioni guardiamo ai giovani o alla società? Quanto bisogna guardare alla dimensione culturale e quanto a quella materiale? Questi ed altri interrogativi hanno animato il dibattito tra i presenti nelle successive sessioni.
La seconda sessione, tenutasi il 24 giugno 2022, si è aperta con i saluti e le considerazioni introduttive di Giuseppina Cersosimo, professoressa ordinaria presso l'Università di Salerno, soffermandosi in particolar modo sull'importanza dei concetti di autonomia e libertà per investire su se stessi, scardinare i poteri costituiti, superare l'emulazione di modelli maschili nella società e cercare di andare oltre le ghettizzazioni entro cui sono relegati i profili umani dei giovani, delle donne e dei meridionali.
Claudia Sarritzu, giornalista presso il The Globalist, ha introdotto il suo intervento con la presentazione di dati e indici che mostrano in che misura la condizione delle donne in Italia, ulteriormente aggravata quando trattasi di "giovani" e "meridionali", sia caratterizzata da forti diseguaglianze relativamente alla condizione lavorativa, al salario, all'accesso a determinati settori occupazionali e alla disponibilità di risorse, tutti aspetti che si basano su radici storiche e culturali del nostro paese ma ulteriormente aggravati dagli scenari della crisi economica e pandemica. In assenza di interventi strutturali e di capacità di reagire a questi fenomeni, anche in merito all'allocazione delle risorse economiche del PNRR, c'è il rischio che queste differenze possano ulteriormente acuirsi negli anni a venire. Una riflessione finale è stata fatta dalla Sarritzu anche in merito alla professione giornalistica, caratterizzata dai tratti dell'estrema precarietà e dalla scarsissima presenza di donne soprattutto nei ruoli dirigenziali, il che si traduce per una giovane donna che percorre questa carriera in una condizione di "invisibilità".
Liana Daher, professoressa ordinaria presso l'Università degli studi di Catania, si è occupata nel suo intervento di fare un approfondimento narrativo sulle rappresentazioni sociali e le autorappresentazioni delle giovani donne che risiedono in Sicilia, regione dove sulla base dei dati e delle ricerche a disposizione emerge un gender gap preoccupante. L'intervento si basa su una ricerca condotta mediante 10 focus group con campioni "misti" o campioni di sole donne, integrati con l'impiego di strumenti visuali e immagini da commentare.
Diverse sono le considerazioni emerse dalle prime fasi di questa ricerca ancora in itinere. Il ruolo della donna nel meridione sembrerebbe ancora caratterizzato da ambiguità e retaggi culturali fortemente stereotipizzati, che impediscono di implementare efficacemente un'effettiva parità di genere. Solo raramente infatti, sulla base delle narrazioni prodotte dai partecipanti ai focus emergerebbe un modello di famiglia simmetrica e a ruoli intercambiabili tra uomo e donna, essendo quest'ultima ancora percepita principalmente all'interno di contesti e dinamiche prettamente domestiche. Se infatti si guarda al ruolo che la donna ha nella famiglia e nel lavoro emerge una condizione definita dalla prof.ssa Daher di "doppio lavoro", ossia di difficile conciliazione tra lavoro e famiglia per cui servirebbero maggiori interventi. Anche per questo motivo le donne del sud sembrano maggiormente coinvolte in forme di lavoro a breve termine, occasionale o in forma di part-time. Pertanto le cause del ritardo nella parità sono sia strutturali, legati alle dinamiche di welfare, sia culturali, con una mentalità basata su stereotipi di genere che sembrerebbe diffusa anche fra le generazioni più giovani.
Maurizio Merico, professore associato presso l'Università degli studi di Salerno si è invece occupato di fare un affondo sul tema della formazione e sull'evoluzione dei processi e delle possibilità formative che sono oggi a disposizione dei giovani. Al fianco dei dati sugli orientamenti universitari, che pur mostrano differenze dalla prospettiva del genere, esistono percorsi di formazione che hanno un impatto sull'economia e sui percorsi biografici ma che non trovano un riconoscimento nelle statistiche. Trattasi di percorsi di educazione non formale, di outdoor education, di youth work o anche legati a Programmi Europei che in diverse circostanze consentono ai giovani di acquisire contatti e capacità in virtù dei quali riescono a trovare lavoro. Inoltre le ricerche mostrano che quando la scuola stessa implementa pratiche di educazione non formale è la scuola stessa a funzionare più efficacemente. In questo scenario occorre pertanto riguardare e ricontestualizzare i processi educativi e ripensare la questione del sistema formativo integrato, anche come sfida e opportunità per il futuro dei giovani e delle giovani del mezzogiorno.
Sulla base di questi interventi la sessione si è conclusa con le considerazioni finali in qualità di discussanti di Ilaria Pitti, ricercatrice dell'Università degli studi di Bologna presso la quale si occupa di Youth Studies e Gender Studies. Diversi sono gli spunti che sono emersi, a partire dai quali si è acceso un dibattito con i presenti in aula: l'esigenza di mettere al centro le relazioni e la socialità per comprendere come le culture di genere e giovanili si riproducono; sottolineare il ruolo svolto dalle scuole e dai contesti formativi per educare le nuove generazioni al superamento di disuguaglianze di genere; attenzionare insieme ai giovani anche il ruolo che gli adulti hanno nel definire le categorie di genere, etc. In ultimo si è anche menzionato, come ulteriore spunto di riflessione, al tentativo di incorporare l'attributo della meridionalità all'interno di nuovo femminismo, chiedendosi se sia possibile o auspicabile l'esistenza di un nuovo "femminismo del sud".
La terza ed ultima sessione di lavori previsti, intitolata 'Politiche, generazione di risorse e genere nel mezzogiorno', coordinata dalla Professoressa Stefania Leone, ha fornito approfondimenti e spunti di riflessioni sul ruolo delle politiche pubbliche, sulle ricadute di queste ultime nella generazione di risorse o sull'ampliamento di gap di genere già esistenti, partendo proprio dalla programmazione nazionale più complessa degli ultimi decenni: il PNRR.
Maria Lucia Piga, prof.ssa associata presso l'Università degli studi di Sassari, nel suo intervento si è occupata del ruolo che le politiche sociali hanno nel promuovere diritti e opportunità per le donne, analizzando il problema delle difficoltà diseguali nel carico di cura che si sono acuite con la pandemia. Il carico di cura, nei termini di compiti domestici e cura delle persone più fragili e non autosufficienti, si traduce in un sovraccarico per le donne che non viene problematizzato nel dibattito pubblico odierno. Con l'emergenza sanitaria questo carico di cura è aumentato notevolmente, andando a gravare sopratutto su alcune categorie quali le donne più giovani, quelle del sud e quelle con un lavoro retribuito che trovano maggiori difficoltà nel conciliare le attività familiari con quelle professionali. Una questione centrale nell'intervento della prof.ssa è quello della genitorialità. Le donne con figli hanno maggiori difficoltà a entrare nel mercato del lavoro. Inoltre, la denatalità crescente non sembra coincidere con il desiderio di molte donne le quali ancora vogliono avere figli. Cause principali della denatalità sono ravvisabili principalmente nella mancanza di servizi e nell'assenza di politiche di conciliazione di lavoro e famiglia, mancanze che vanno di pari passo con tassi di occupazione femminile più bassi. Pertanto non è possibile affrontare queste questioni di diseguaglianza soltanto attraverso forme di sussidio e di assistenzialismo. in ultimo la prof.ssa si è occupata di presentare alcuni dati emersi da uno studio di caso nell'Alta Marmilla, area pilota della SNAI in sardegna. è stato rilevato che per far fronte ai numerosi problemi strutturali di quest'area, dalla spopolamento alla povertà minorile, sia possibile fare leva sul potenziale delle donne giovani con figli, mediante interventi ed erogazione di risorse che siano mirati su questo target in modo tale da far si che attraverso il superamento del divario di genere possano altresì crearsi condizioni di sviluppo territoriale.
Giuseppe Moro, professore ordinario presso l'università di Bari si è occupato del potenziale generativo delle risorse messe in campo dalle politiche sociali e pubbliche per il sud. Partendo da un inquadramento delle fasi storiche delle politiche del mezzogiorno italiano, il professore ha distinto diverse fasi: la prima caratterizzata dal tentativo di modernizzare il meridione dal secondo dopoguerra in poi con l'ausilio di risorse nazionali e internazionali (es. Piano Marshall), impiegando tecnostrutture e in cui il rapporto tra politica e società locale diventava sempre più complesso; la seconda fase che prevedeva forme di alleanze informale di tipo bottom up tra i soggetti più attivi del sud-italia con politiche che rincorrevano modelli di sviluppo simili a quelli di altre regioni; una terza fase, dalla seconda metà degli anni 90 in poi, a partire dalla quale non ci sono più strategie di sviluppo che si occupano selettivamente del sud italia e dove i cittadini dipendono sempre più dal welfare; un'ultima fase è quella definita dal professore "della riserva" in cui,nell'ambito di strategie di sviluppo nazionali, viene riservata al sud una quota delle risorse erogate. In conclusione vengono presentate le caratteristiche che le politiche sociali per il sud dovrebbero avere per una valutazione positiva, ossia promuovere spazi di libertà per i beneficiari, avere di questi ultimi una visione positiva intercettandone le potenzialità, valorizzare le esperienze di auto-organizzazione, sostenere attività che si basino su un mix di legami comunitari e concorrenza di mercato, promuovere responsabilità diffuse fra gli attori coinvolti.
Andrea Millefiorini, professore associato presso l'Università degli studi di Napoli "Luigi Vanvitelli", si è occupato di analizzare la ripartizione delle risorse del PNRR che andranno ad avere una ricaduta positiva sui giovani, soffermandosi sia sulle opportunità che possono rappresentare una ripartenza del mezzogiorno italiano, sia su alcuni elementi di criticità. Tra le voci del PNRR più in grado di impattare sulla condizione giovanile sono state intercettate principalmente due: la missione 4 relativa all'istruzione e alla ricerca e la missione 5 su inclusione e coesione. L'investimento in questi settori, con particolare riferimento alla formazione, possono aiutare i giovani nei percorsi biografici e nelle opportunità lavorative, anche in virtù di tendenze che vedono i tassi di disoccupazione abbassarsi. L'erogazione di risorse prevista dal PNRR può quindi tradursi in un'opportunità selettivamente per i giovani del mezzogiorno anche grazie ai fattori strategici e geostrategici di cui quest'ultimo dispone (infrastrutture, energie rinnovabili, siti d'interesse culturale, specializzazioni produttive nei distretti industriali, etc.). Per far si che queste opportunità si concretizzino è necessario superare alcune criticità relative a resistenze culturali, inefficienze delle regioni e del sistema politico nazionale.
La sessione si è conclusa con l'intervento dei due discussant. Andrea Pirni, professore presso l'Università degli studi di Genova, che ha dato elementi di riflessione sul ruolo che le categorie di Giovani, Donne e Meridionale possono fornire all'evoluzione degli studi e delle ricerche in ambito sociologico, e Veronica Riniolo, ricercatrice presso l'Università Cattolica degli studi di Milano, che ha lanciato considerazioni relative all'intersezionalità fra queste tre categorie e sul ruolo che possono svolgere politiche pubbliche mirate rispetto a politiche di carattere più generale per ridurre diseguaglianze e fattori di rischio per i beneficiari.